Miti da sfatare: l’olio di cocco è irritante

Le cose semplici, si dice, sono le migliori. Ed è vero. Ma secondo me non si può sempre dire altrettanto delle cose “semplificate”.

La semplificazione che spesso si fa su internet attorno a certi concetti che sono, invece, complessi, dà come esito finale la diffusione di “pezzi” di verità grossolanamente raffazzonati. Consolanti, magari, ma non aderenti alla realtà.

Lunga premessa per arrivare al dunque di una affermazione – “l’olio di cocco è irritante” – sulla quale è necessario fare qualche ulteriore riflessione. E qualche chiarimento.

Il povero olio di cocco in sè e per sé non è per niente irritante. E’ un grasso saturo di origine vegetale come altri che, per la dimensione delle sue molecole, tende a restare sulla pelle piuttosto a lungo, formando un film protettivo e non a caso è usato in burri per il corpo, unguenti e balsami per labbra. Ci possono essere implicazioni etico-ambientaliste riguardo il suo impiego, ma non è l’argomento di questo post.

L’olio di cocco però contiene, in notevole percentuale, un acido grasso specifico, il laurico, che, una volta fatto reagire con un alcali (soda caustica o potassio caustico), produce un sale sodico o potassico (per gli amici, sapone 🙂 ) con due caratteristiche molto specifiche. Un sapone di acido laurico fa una schiuma meravigliosa ed è anche molto – ma molto – detergente.

Ora, la detergenza è quel processo grazie al quale il grasso che si trova sulla superficie della nostra pelle viene staccato, miscelato con l’acqua e portato via. Un processo virtuoso quando si tratta di lavarci dallo sporco atmosferico e dalle tracce di Nutella sulle dita. Un processo stressante per la pelle quando, oltre alla Nutella, a finire nello scarico è anche quel sottile strato di grassi e liquidi che ne protegge la superficie e le impedisce di seccarsi e screpolarsi.

E qui veniamo al punto della nostra questione: che cos’è allora a essere irritante? Ed ecco la risposta:

è irritante l’uso continuato di saponi con un’alta percentuale di sali sodici o potassici di acido laurico, in presenza di una pelle che non tollera l’essere dilavata troppo in profondità.

Se la pelle, per i più svariati fattori individuali o ambientali, non ha la capacità di compensare l’eccessiva detergenza del sapone al cocco, ricostituendo il suo film protettivo, ecco che, a lungo andare, può sviluppare fenomeni irritativi. In alcune persone – e io sono tra quelle – la forza lavante dei saponi al cocco genera un po’ di secchezza o di prurito, da compensare con l’uso di una lozione o una crema dopo ogni doccia. In persone dall’epidermide più delicata o già irritata per altre cause può invece dare fastidi più “importanti”. Ma in altre persone con tipi di pelle più “resistenti” non dà alcun problema e anzi risulta un sapone molto schiumoso e piacevole. Usare solo olio di cocco in un sapone però richiede qualche cautela come ho spiegato in altro post su questo blog dedicato al Tuttococco.

Consiglio spicciolo per il saponaio che vuole formulare le sue ricette? Impara a conoscere la tua pelle e ad “ascoltarla”. Nel dubbio, tieni basso il dosaggio del cocco e controlla quali sono le tue reazioni a distanza di una settimana, un mese, tre mesi dal momento in cui hai cominciato a usare sapone che lo contiene. Usa comunque una crema o una lozione restitutiva perché, cocco o non cocco, la tua pelle te ne sarà grata!

Ancora una piccola cosa prima di chiudere: tutto questo discorso, dalla prima all’ultima sillaba, vale anche per l’altro olio ricco di acido grasso laurico, il palmisto. E’ noto anche come olio di noccioli di palma, deriva dalla stessa pianta da cui deriva l’olio di palma che però, siccome non contiene acido laurico, è del tutto “inoffensivo”.

Acidi grassi: nomi e funzioni nel sapone autoprodotto

olio di vinaccioliGli acidi grassi sono i mattoncini fondamentali di tutti gli oli e i grassi che si trovano in natura. Si tratta di molecole dalla forma allungata nelle quali le catene di atomi di carbonio – di solito tre visto che si parla di trigliceridi, sono legate in un’unica struttura da una molecola di glicerolo.

Gli acidi grassi sono circa un centinaio, ma quelli che interessano nell’autoproduzione di sapone sono più o meno una quindicina e si trovano negli oli e nei grassi più comuni. Sapere la quantità di acidi grassi contenuta nella materia prima del sapone e capire la loro resa nel prodotto finito, è un elemento importante per avere un’idea di come i grassi vadano scelti e combinati.

Ma non tutto è così semplice come sembra. Come spieghiamo nei capitoli 3 e 19 del nostro nuovo manuale Il sapone fatto in casa For Dummies il contenuto di acidi grassi di ciascun olio può variare moltissimo a seconda della provenienza, delle annate se si tratta di oli vegetali e persino dei sistemi di estrazione. Questa complessità mette molto in crisi le pretese di “scientificità” nella produzione casalinga del sapone, ma è sicuramente un’informazione importante per tutti i saponai che vogliono capire meglio che cosa succede nel loro pentolone quando la reazione di saponificazione è stata messa in moto.

Tra i contenuti extra che è possibile scaricare dal sito del libro abbiamo incluso una tabella in cui abbiamo elencato gli acidi grassi saturi, insaturi e polinsaturi a seconda delle loro funzioni nel sapone. Datele un’occhiata perché potreste scoprire parecchie sorprese! La realtà è sempre molto, ma molto più complessa di quanto si potrebbe pensare.

Oli nel sapone: parliamo di resa più che di proprietà

Spesso si fa confusione tra quelle che sono le “proprietà” degli oli e la loro “resa” nel sapone. Quando nel nostro libro, per esempio, elenchiamo gli oli e le loro proprietà, ci riferiamo alle caratteristiche intrinseche di quell’ingrediente nel momento in cui viene utilizzato puro e tal quale.

IMGP4325La saponificazione è un processo chimico che muta del tutto la natura dei materiali che la innescano: gli acidi grassi e l’idrossido di sodio o di potassio diventano un sale inerte la cui qualità e “proprietà” si misura con parametri diversi rispetto a quella degli ingredienti che si sono usati per produrlo. Se per gli oli e per le preparazioni cosmetiche che li utilizzano senza trasformarli, si parla di “proprietà”, per il sapone è più appropriato parlare di “resa”.

E la resa (consistenza, schiumosità, detergenza) è data dal tipo di acidi grassi che sono contenuti negli oli e che vengono saponificati. Anche se le materie grasse in natura sono tantissime, gli acidi grassi che le compongono, in realtà, sono sempre gli stessi. Gira e rigira, l’olio di oliva o l’olio di Camelia subtropicale hanno alla fine il medesimo “corredo chimico”, dato da una combinazione variabile di acido oleico, miristico, stearico, palmitico, ricinoleico, linoleico, linolenico e laurico in quantità differenti. Ora, se alcuni acidi grassi (tipo il laurico contenuto nel grasso di cocco) hanno una resa tipica e ricorrente (laurico = schiuma; stearico = sapone duro), altri come l’oleico, che si trova in percentuali variabili in *tutti* i grassi esistenti, hanno nel sapone rese molto meno specifiche e sicuramente *non* cosmetiche.

Questo è un discorso che va tenuto presente anche quando si decide di utilizzare oleoliti nel sapone, cioè quei grassi nei quali, con una delle tante tecniche conosciute, sono state fatte macerare erbe e piante officinali oppure spezie.

Quali sono le funzioni di un oleolito nel sapone? In alcuni casi (pochi) quello di dare colore. Alloro e calendula sono esempi di oleoliti che hanno questa funzione. Nella maggioranza dei casi invece, a seconda dello sconto della soda, l’aggiunta di un oleolito aumenta la percentuale di grasso libero e quindi diminuisce l’aggressività di un sapone. Gli oleoliti *non* trasmettono al sapone le proprietà attive della specie botanica con cui sono fatti. Perché il sapone non ha proprietà cosmetiche di alcun tipo, se non quella di detergere. Quello che conta, ai fini della resa nella saponificazione, è piuttosto il tipo di olio con cui l’oleolito è stato prodotto: se è in olio polinsaturo il sapone sarà più molle, se in olio monoinsaturo (oliva) sarà meno schiumoso e così via.

Ossidazione dei grassi saturi e insaturi

Uno dei problemi cui il sapone può andare incontro è l’ossidazione. L’ossigeno si combina con le tracce di grasso libero sulla superficie della saponetta e questo provoca macchie e il tipico odore di rancido. Dire che un sapone è ossidato o dire che è rancido, è la stessa cosa.

Un sapone non diventa rancido dall’oggi al domani. L’ossidazione è un processo che richiede il suo tempo e che dipende, in parte, dal tipo di grassi che sono stati usati nella ricetta. Ci sono anche altri fattori che giocano un ruolo nell’eventualità che un sapone ossidi e nella velocità con cui questo accade. Ma di questo farò cenno alla fine del post.

Una discriminante per capire quali grassi favoriscono l’ossidazione è cominciare a separare i saturi (quelli solidi a temperatura ambiente), dai liquidi e guardare un pochino dentro la loro struttura molecolare.

Se i grassi saturi (palma, cocco, karitè, strutto, etc) hanno un tempo di ossidazione pari a 1, i grassi monoinsaturi (esempio oliva, mandorle) ce l’hanno 5 volte superiore, i grassi polinsaturi del gruppo omega-6 con doppio legame C=C (girasole, cartamo, soja, mais, arachidi) ce l’hanno 50 volte superiore e i grassi del gruppo omega-3 con triplo legame C≡C (lino, colza, enotera, canapa) ce l’hanno 100 volte superiore. Che cosa sono i legami C=C doppi o tripli? Sono la “struttura” che tiene insieme gli atomi di carbonio nella catena atomica di ciascun trigliceride (acido grasso). Più questa struttura è ramificata con doppi e tripli legami, più la catena ha facilità a spezzarsi quando viene “sollecitata” dall’azione dell’ossigeno. Ogni volta che la catena si spezza e reagisce con l’ossigeno, inizia quel processo degenerativo, detto ossidazione, che fa irrancidire il sapone.

Questo è il motivo per cui, in tutti i testi sul sapone, trovate sempre indicato che i grassi moninsaturi (tra cui l’oliva) stanno tra quelli detti “di base” dei quali si possono usare anche grosse quantità nelle ricette, mentre gli altri (soprattutto i polinsaturi con triplo legame) sono classificati come “nutrienti” e ne vengono raccomandati dosaggi minimi. Questo è anche uno dei motivi per cui si consiglia di bilanciare una ricetta con grassi saturi-insaturi.

Più è alta in una ricetta la percentuale di un grasso polinsaturo con triplo legame (per esempio l’olio di colza) più è maggiore la possibilità che quel sapone si ossidi, cioè diventi rancido. Più è alta la quantità di grassi saturi o moninsaturi (tipo strutto, palma, cocco + oliva) meno è facile che il sapone si ossidi. Se voglio fare un sapone con sconto soda alto quindi eviterò il più possibile i grassi polinsaturi a doppio e triplo legame o ne metterò davvero quantità minime.

Come dicevo all’inizio, le variabili che possono far irrancidire un sapone sono diverse e la composizione dei grassi della ricetta è soltanto una di queste. Altri fattori cui prestare attenzione sono gli sconti della soda (più lo sconto è alto, più alto è il rischio ossidazione), la presenza di liquidi in eccesso nel sapone, il fatto che il sapone venga conservato in luoghi umidi, caldi e poco ventilati, la presenza di particolari ioni metallici nell’acqua utilizzata per la soluzione caustica, l’uso di ingredienti “umidi” (fiori freschi, fondi di caffè, frutta).

Purificare i grassi: il metodo di Marina

In passato, ho inviato diversi messaggi alla lista dei saponai per illustrare il mio metodo di purificazione di oli e grassi che potrebbero impartire al sapone odori sgradevoli. Lo riporto anche qui a beneficio di tutti gli interessati.

Grassi animali e oli di frittura andrebbero “purificati” prima di trasformarli in sapone.

L’operazione richiede una cottura abbastanza lunga e un periodo di raffreddamento consistente. Per evitare sprechi di tempo e di combustibili, conviene mettere in programma la purificazione dei grassi nelle stagioni fresche/fredde (autunno, inverno) e prevedere di lavorare su quantitativi di grassi/oli di almeno un chilo per tipo. Ricordate di non mescolare grassi di diversa provenienza (bovino, ovino, diversi grassi vegetali) per evitare problemi coi valori di saponificazione.

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Purificare i grassi

Soprattutto per i grassi animali e il burro fresco, ma anche per gli oli di frittura che si vogliono recuperare nel sapone, conviene effettuare una pre-lavorazione se si vogliono evitare sgradevoli odori residui.

L’operazione è semplice. Basta infatti far sciogliere il grasso a fuoco lento, insieme a erbe o spezie con proprietà deodoranti come l’alloro, il ginepro, i chiodi di garofano. Una volta sciolto, il grasso va lasciato riposare e decantato, ossia travasato versando lentamente, in modo da evitare di inglobare nel grasso pulito i residui solidi (erbe, spezie, impurità).

Il burro purificato (chiarificato) è un eccellente grasso di base nei saponi per la persona e per la casa, da usare in quantità non superiori al 10% del totale dei grassi.

Lardo, strutto, sugna e altri grassi animali freschi si possono purificare in grandi quantità e tener pronti per più lotti di sapone.

Volendo recuperare grassi animali e vegetali utilizzati per le fritture, conviene purificarli aggiungendo abbondante acqua, aceto e sale grosso oltre a erbe e/o spezie.